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EQUILIBRIO PRECARIO

Non ricordo con precisione il giorno che mi sono persa, forse è stato proprio nell’attimo che ho compreso la fugacità del tempo e quanto si lascia dietro se non si afferra con forza l’aria che ci sfiora il viso. Sono nata un giorno per amore, eppure di amore ne ho conosciuto ben poco, tutto era dovuto e tutti hanno preteso qualcosa da me, sempre. Il culo è un bello stimolo ammetto. E il mio ha sempre ispirato grandi fantasie, ma al di li di quello tutti i miei sforzi sono valsi a ben poco. Mesi fa raccattai intorno a me gli arnesi della realtà, cercando di superare il fossato che le lacrime mi avevano scavato intorno, il dolore mi rendeva esule, quasi invisibile. Adagiata sull’anima, rimuginavo solitaria la vergogna delle mie sconfitte leccandomi le ferite in una dimora ove solo la morte alitava sulla vita appassendo il cuore. Dov’era il mio io, allora? A che pro muoversi se il movimento è indice di vita e la vita è indice di speranza? Non ho né vita né speranza. Tra le mani inciampo un volto senza memoria, nel tempo, in fuga a se stesso. Nelle mie debolezze mi manca l’aria che respiro: è, artefatta, quanta seduta sul terrazzo guardo l’incedere della quiete, fra le dita una sigaretta da cui si levano pigri anelli di fumo. Sciolti i capelli sul volto graffiano le lacrime, origami di un passato che in certi momenti torna prepotente. Oggi dopo tutti questi anni, tutto quello che ho capito della mia vita, è che io sono soltanto la tessera di un domino in equilibrio precario.

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Equilibrio precario